Sopravvivere alla sensibilità

Non siamo tutti uguali. C'è chi nasce con una sensibilità particolare, troppo grande per un solo uomo. È una cosa bella? Forse. Dipende. A volte è un gigante che rischia di possedere e schiacciare chi ne è portatore. Ci sono persone totalmente sopraffatte dalla propria sensibilità. Di sensibilità c'è chi muore. C'è chi non vive. C'è chi vive in un'ansia perenne ogni volta che il mondo ne trapassa l'anima, e quest'ansia è solo un desiderio infinito di verità e bellezza che non viene colmato da quell'esistenza troppo superficiale e frettolosa di cui molti, troppi si accontentano.
Io ho capito una cosa. Ho capito che l'unico rimedio a una grande, ingestibile sensibilità è amare follemente, è essere ebbri d'amore. Ubriachi, pazzi. Non in quel modo che spinge a far pazzie smielate o autodistruttive, no. Intendo in quel modo pazzo e un po' incosciente che hanno i bambini, i matti, quelli non inquadrati. In quel modo che ti fa abbracciare gli alberi, parlare agli insetti, mandare baci ai passeri da lontano, chiamare la bellezza e l'innocenza "amore", suonare tutta la notte, sentire i colori della musica, inchinarti davanti all'umiltà regale, correre oltre i palazzi sotto la pioggia per andare a guardare i pochi secondi di un arcobaleno, osservare le sfumature dei fiori. È il solo modo per cui quel fuoco che arde nel petto in un modo indescrivibile, come un dolore dolce e un po' struggente, simile all'essere sempre innamorati e mai soddisfatti, non ti consumi.

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