La virtù della liquidità

Stavo facendo una riflessione sul concetto di società liquida di Zygmunt Bauman​ e su quanto e come la liquidità sia passata da concezione a valore. Io non ho un carattere testardo ma, essendo esso particolarmente speculativo, quando arrivo a una conclusione difficilmente cambio idea perché frutto di un percorso di valutazioni approfondite. Alcuni frettolosamente scambiano questo per testardaggine. Anni fa un'esperienza di vita mi ha mostrato proprio come sia cambiata la nostra scala di valori. Fino a qualche tempo fa essere decisi e risoluti era segno di carattere, e avere carattere era una cosa buona. Poi ho visto come, sempre più, questo "carattere", questa capacità decisionale e valutativa, sia diventata un difetto, addirittura qualcosa in grado di minare le relazioni. Si è passati ad avere una necessità sempre maggiore di accomodamento e di mediazione, in poche parole, a dover essere liquidi, flessibili, senza una posizione e una collocazione precisa per non rischiare di diventare automaticamente schierati in qualche fazione a cui nemmeno si sente di appartenere. Dicevo, la cosa è diventata un valore. Sì, non siamo più nell'alveo delle categorie descrittive, della presa di coscienza che "questa è una società liquida"; ma nella necessità di essere liquidi, altrimenti si è socialmente inadeguati. Non voglio esprimermi oltre, perché guardare le cose da un asteroide dà un'altra prospettiva. Mi sembra di intravedere dove tutto questo ci stia portando, ma per il momento lo tengo per me anche perché la cosa richiederebbe una trattazione lunga e appropriata, e non si può fare nello spazio di un blog. Ma è già tutto sotto i nostri occhi.

La metafisica del Bene

Posso dirlo? Da credente, lo dico. Sono stanca di religione. Lo dico da persona che studia, o meglio, cerca di capire, di informarsi, la teologia, la dottrina che c'è questa benedetta fede che mi è stata data, che non ho comprato, che non ho cercato, che a volte credo di non avere e invece è sempre lì, anche quando mi sembra assurdo che ci sia. E' proprio vero che la fede è un dono che va accolto, nel mio caso è un dono che custodisco molto gelosamente, mica un dono facile ma che, anzi, spesso mette in crisi, che provoca meraviglia e tensione, stupore e incertezza (alla faccia delle certezze della fede). E così, per tanto tempo, per tante volte, l'ho difesa contro i tanti attacchi ricevuti, spiegandone le ragioni, perché anche la fede ha una sua ragione. L'ho difesa quando veniva messa alla stregua di cose che non c'entravano, quando veniva confusa con un generico "cristianesimo". Sono una che combatte, per questa fede, anzi, per quel Dio, per quel Gesù che amo, a volte ho mandato gente a quel paese - anche se non è nel mio stile - quando ha offeso come convinzioni di una deficiente non me, non le cose in cui IO credo, ma una Persona che amo. Ho perso amori, amicizie, certezze, forse anche la stima di alcuni per questo. Ma mai mi sognerei di combattere con le armi per convertire chi non la pensa come me, nonostante l'amore smisurato verso questa Persona una e trina. Per questo mi piacerebbe, oggi lo dico perché sono stanca di tanto sangue, di tanto odio, di tanto razzismo, di tanta xenofobia (attenzione: non solo da parte occidentale! Proprio l'altro giorno sono stata insultata da una persona con cui lavoro che è razzista con "i bianchi"!) e magari quando sarò meno stanca non lo penserò più, chissà...Mi piacerebbe, dicevo, un mondo in cui la religione non sia così importante...Deve esserlo per comprendere meglio Dio, per pregare tutti insieme, per condividere una fede piuttosto che un'altra; sicuramente non può unire perché, senza prenderci in giro, è ovvio che quando si parla di Gesù e di Eucarestia e di Croce non c'è una comunanza concettuale con quanti parlano di Profeta o di Nirvana o di Shabbat. Si è su posizioni profondamente diverse. Ma diciamo anche che alla persona comune tutto questo non interessa, in fondo tutto quello che vogliamo è vivere in pace; è vero che vivere in pace presuppone una comunanza di valori, e che questi valori li fa pure la religione perché, ad esempio, un cristiano mormone può avere più mogli così come alcuni musulmani mentre un cristiano cattolico no, e quando già non c'è accordo su queste cose, che implicano altri discorsi come il maschilismo e il femminismo, la dignità della donna ecc. non illudiamoci che sulla religione vi possa essere pace. Non vi è stata pace nemmeno quando Gesù in persona lo ha detto, anzi, quando Dio fattosi persona (sono cattolica, perdonatemi) in Gesù il Cristo lo ha rivelato. Per cui smettiamola di combattere la religione islamica, in fondo a noi della religione non interessa una benemerita cippa, altrimenti tanto zelo lo metteremmo facendo quanto la nostra religione ci dice. Penso che dovremmo combattere la religione in sé, non come fede, precisiamolo, ma quando si fa politica, quando si fa guerra, quando si fa abbattimento dei diritti umani. Questo è il vero problema. Se la religione deve diventare politica, fazione, partito, stiamo inquinando anche il senso del sacro che a questo mondo farebbe tanto bene recuperare. Cerchiamo di avere più fede e meno religione, più amore e meno culti, più senso della verità e dei valori e meno perbenismi. Poi viene la religione, le liturgie, le regole. Non servono regole da seguire, servono cuori, servono esseri umani, educati al Bene. Fin quando non si tornerà a un grande discorso filosofico e metafisico sul Bene credo che saremo sempre più alla deriva, ideologicamente, spiritualmente e anche fisicamente. In barba a chi crede che la religione sia sovrastruttura, che prima viene il soddisfacimento di bisogni primari come il mangiare e il riprodursi. Questa cosa della struttura e della sovrastruttura ha svuotato l'uomo proprio perché ha ridotto l'Amore e ogni discorso sul Bene e sul Vero a qualcosa di secondario. Passare dalla sintesi alla lotta di classe è stato un altro grave errore, perché non è con la lotta che si supera il conflitto, non è nemmeno con l'accoglienza e il volemosebbene annacquato, ma è solo con il recupero del concetto di umanità nella sua interezza, umanità fatta di strutture e di sovrastrutture, di fisico - e fisica - e pensiero, di corpo e di spirito, posti in un confronto dialettico e sintetico. Quello che accade oggi è proprio il parossismo del ricucire tale strappo con questa isteria della religione che, rovescio di una medaglia che vede l'uomo solo come carne, pensa all'essere umano solo in termini di spirito e necessità di conversione, peraltro non del cuore - fatto anche lui di carne - ma del pensiero.

Abbiamo perso il conto

Purtroppo ci sono stati i morti di Beirut insieme a quelli francesi. Però stavolta non credo c'entri (soltanto) la preferenza che si accorda ai morti in casa propria rispetto a quelli più lontani. A proposito di questo, lo dicevo tempo fa. Chiunque operi come giornalista o operatore della comunicazione sa bene che esistono dei "criteri di notiziabilità", per cui le cose che accadono più vicine a noi hanno più evidenza di altre. Un po' mi meraviglia che non venga compresa questa cosa: è lo stesso motivo per cui si piange il parente morto ma non il morto che non si conosce. E' umano che sia così: altrimenti, se non vogliamo davvero essere ipocriti, dovremmo passare la vita a piangere, perché nel mondo si muore continuamente. Non è questione di insensibilità: è che nella vita bisogna anche ridere. E ve lo dice una che ieri ha pianto il vicino di casa incrociato in 7 anni e mezzo al massimo tre volte e del tutto sconosciuto. E che ancora ha il cuore triste per questo. Ve lo dice una che sa di rasentare i limiti dell'ipersensibilità. Torniamo però alla notizia. E' pur vero che giornalisti e compagnia bella avrebbero il dovere di non far pesare alcune cose meno di altre ma, lo abbiamo detto, la vita funziona così. Quello che ha lasciato davvero sgomenti, qui, non è stata la nazionalità dei morti. Di Charlie Hebdo ci siamo dimenticati abbastanza in fretta, l'11 marzo pochi lo collegherebbero alla data di una strage, gli stessi che ricordano ancora che una bomba esplose nelle metro di Madrid e Londra. L'11 settembre invece riecheggia ancora nelle nostre menti: sapete perché?
Quanto è successo a Parigi l'altra sera, nei fatti, è uguale a quanto accaduto a Beirut: morti, uccisi, violenza. Quello che ha davvero impressionato è stata la modalità: venire colpiti nel bel mezzo della propria quotidianità in un modo imprevedibile (come a New York). Per questo motivo l'11 settembre e il 13 novembre e spero nessun'altra data verranno ricordati per l'aver rotto qualcosa nei nostri cuori e nelle nostre certezze. Quindi, per una volta, non credo che c'entrino l'ipocrisia, o la preferenza, ma le conseguenze sociali e antropologiche che inevitabilmente questa cosa riuscirà ad avere. Detto questo, ricorderei anche i morti silenziosi di oggi, di ieri, di domani e di sempre, perché oltre a Beirut e a Parigi, a New York e ai cieli di Sharm, ci sono tante guerre nel mondo in questo momento, molte collegate proprio all'IS. Ogni giorno, svegliandoci e ringraziando Dio di avere un altro giorno di vita in questa opulenta e marcia ma libera società occidentale (guarda caso, cristiana, ma non lo dico in contrapposizione all'Islam, bensì a una certa Europa), rivolgiamo una preghiera per tutta questa gente, senza fare proclami, senza clamore, senza nemmeno rimarcare le bandiere di appartenenza, visto che sarebbero così tante da perderne il conto.
Per informazione:
http://www.guerrenelmondo.it/?page=static1258218333