Abbiamo perso il conto

Purtroppo ci sono stati i morti di Beirut insieme a quelli francesi. Però stavolta non credo c'entri (soltanto) la preferenza che si accorda ai morti in casa propria rispetto a quelli più lontani. A proposito di questo, lo dicevo tempo fa. Chiunque operi come giornalista o operatore della comunicazione sa bene che esistono dei "criteri di notiziabilità", per cui le cose che accadono più vicine a noi hanno più evidenza di altre. Un po' mi meraviglia che non venga compresa questa cosa: è lo stesso motivo per cui si piange il parente morto ma non il morto che non si conosce. E' umano che sia così: altrimenti, se non vogliamo davvero essere ipocriti, dovremmo passare la vita a piangere, perché nel mondo si muore continuamente. Non è questione di insensibilità: è che nella vita bisogna anche ridere. E ve lo dice una che ieri ha pianto il vicino di casa incrociato in 7 anni e mezzo al massimo tre volte e del tutto sconosciuto. E che ancora ha il cuore triste per questo. Ve lo dice una che sa di rasentare i limiti dell'ipersensibilità. Torniamo però alla notizia. E' pur vero che giornalisti e compagnia bella avrebbero il dovere di non far pesare alcune cose meno di altre ma, lo abbiamo detto, la vita funziona così. Quello che ha lasciato davvero sgomenti, qui, non è stata la nazionalità dei morti. Di Charlie Hebdo ci siamo dimenticati abbastanza in fretta, l'11 marzo pochi lo collegherebbero alla data di una strage, gli stessi che ricordano ancora che una bomba esplose nelle metro di Madrid e Londra. L'11 settembre invece riecheggia ancora nelle nostre menti: sapete perché?
Quanto è successo a Parigi l'altra sera, nei fatti, è uguale a quanto accaduto a Beirut: morti, uccisi, violenza. Quello che ha davvero impressionato è stata la modalità: venire colpiti nel bel mezzo della propria quotidianità in un modo imprevedibile (come a New York). Per questo motivo l'11 settembre e il 13 novembre e spero nessun'altra data verranno ricordati per l'aver rotto qualcosa nei nostri cuori e nelle nostre certezze. Quindi, per una volta, non credo che c'entrino l'ipocrisia, o la preferenza, ma le conseguenze sociali e antropologiche che inevitabilmente questa cosa riuscirà ad avere. Detto questo, ricorderei anche i morti silenziosi di oggi, di ieri, di domani e di sempre, perché oltre a Beirut e a Parigi, a New York e ai cieli di Sharm, ci sono tante guerre nel mondo in questo momento, molte collegate proprio all'IS. Ogni giorno, svegliandoci e ringraziando Dio di avere un altro giorno di vita in questa opulenta e marcia ma libera società occidentale (guarda caso, cristiana, ma non lo dico in contrapposizione all'Islam, bensì a una certa Europa), rivolgiamo una preghiera per tutta questa gente, senza fare proclami, senza clamore, senza nemmeno rimarcare le bandiere di appartenenza, visto che sarebbero così tante da perderne il conto.
Per informazione:
http://www.guerrenelmondo.it/?page=static1258218333

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