La magia infinita

Sono giorni che penso a te e così ti scrivo questa lettera che non leggerai mai.
La cosa curiosa è che ti avevo, forse, dimenticato per abbondanti quattro anni. E che l'ultima volta che ci eravamo sentiti mi avevi fatto pensare che non valesse la pena continuare ad avere notizie di te. Mentre tu, al contrario, ti sei domandato spesso di me.
Poi...tante cose sono accadute in questo tempo. Forse, anzi sicuramente più per te che per me. E sei diventato la persona bella che mi aveva svegliato il cuore quella sera di...non ricordo più quanti anni fa. Cinque? Sei?
Tutto per puro caso.
Tutto senza parlarsi. Neanche una parola.
Solo qualche sguardo e l'incontenibile desiderio di sapere di più chi fossi tu, chi fossi io.
Ma non accadde nulla, quella sera. Non avemmo il coraggio di attraversare il confine che ci separava.
Poi, per fortuna, la musica ci ha fatti comunicare.
Qualcuno potrebbe chiamarlo colpo di fulmine. Ma no, non era e non è nulla del genere. Non è un sentimento che ci lega. E' un'altra cosa, oltre, che non so definire. Una specie di incanto, di magia.
E sono bastati quei pochi attimi in cui ci siamo rivisti, per caso - o forse non troppo - per ricadere in quella sensazione ammaliante. Mi sembrava tutto fosse ovattato e sbiadito, tranne te. Probabilmente per te è stato lo stesso, ma non te lo chiederò mai.
E intanto sono qui con questa dolcezza struggente nel cuore. Qualcosa a cui non riesco a dar nome. E a cui non sei riuscito a dar nome nemmeno tu, l'altro giorno. Posso solo dire che sento il cuore dilatarsi ogni volta che penso a te e non so perchè ti ho messo da parte per così tanto tempo fino ad arrivare a reincontrarsi per separarsi ancora.
Spero che stavolta le cose vadano un po' diversamente.
Spero che, di tanto in tanto, ritroveremo quell'incantesimo.
E spero che rimanga tutto sempre sospeso, che la tua vita continui così com'è adesso, lontana dalla mia, che ci reincontreremo di tanto in tanto, e che ci perderemo ancora, ma mai del tutto.

C'è chi cresce e c'è chi invecchia

Da qualche giorno me ne sono andata altrove col mio asteroide spaziale. Siccome per vocazione ho un animo nomade, anche se per una serie di circostanze ultimamente non ho potuto esprimerlo, per una serie di altre circostanze ho deciso che era il caso di traslocare in altri luoghi.
Ora, sperduta nello spazio siderale di una città in cui ho qualche conoscenza e pochi amici - forse nessuno, ma d'altronde sull'asteroide hanno il coraggio di salire in pochi - e condivido la quotidianità casalinga con persone sconosciute (che ossimoro, quando la casa è il luogo per eccellenza dell'intimità e del calore accogliente!), mi godo una lunga vacanza-lavoro (bello il lavoro dell'artista, che tu sia qui o sia lì, non fa molta differenza) e scopro, anzi, ri-scopro la strana sensazione di fluttuare nel nulla. Esisto, ma non esisto, perché forse è vero che si esiste fin tanto che si esiste per qualcuno. Mi ricorda un viaggio che ho fatto diversi mesi fa, la scorsa primavera, in Bosnia. Partire soli e conoscere un sacco di gente, volti, sguardi, voci, accenti, lingue e linguaggi, per qualche minuto, vedere qualcuno che si entusiasma e sembra aver ritrovato qualcosa solo perchè gli hai regalato un sorriso e qualche parola, passare lunghe ore in silenzio distesi nell'erba, ti fa sembrare di essere un po' più tu e un po' meno tu.
Comunque sia, anche così, capita lo stesso di incontrare vecchie amicizie che il tempo non ha scalfito, ma in realtà suppongo sia stato solo il fatto di non essersi frequentati poi tanto a non aver allontanato.
Esci, e ti rendi conto di non essere seduta al tavolo di quel pub con la stessa persona che conoscevi. Già te n'eri resa conto l'ultima volta che l'avevi vista, più o meno 4 anni fa. E già ti eri resa conto che tante, troppe cose stavano cambiando negli anni prima, o forse sono cambiate in una sera, in un attimo. Forse sarebbero rimaste uguali senza certi eventi, o forse sarebbero fisiologicamente cambiate comunque. Chissà. E chissà in che modo.
In realtà non è il cambiamento che dà quel senso di spaesamento.
E' l'accorgersi che tanta innocenza è andata perduta. Sei con dei coetanei che ragionano e vivono come se avessero 10 anni di più...forse anche 20 o 30. Senza freschezza, senza l'entusiamo che - diamine, hai ancora 30 anni, mica sei prossimo alla morte! - uno dovrebbe avere. E' tutto già fatto, già sfruttato, già sperimentato. Non c'è più alcuno stupore, più nessuna meraviglia. E' tutto spento, non brillano luci.
Oddio, detta così sembra che stia parlando di gente depressa e triste. No, non è affatto così, anzi!
Si ride, si scherza (in maniera anche opinabile secondo me, ma vabè, è un altro discorso). Si vive, anche in maniera ritenuta soddisfacente.
Però io proprio non ce la faccio a non sentire la mancanza di quell'innocenza che andrebbe iniettata a dosi massicce a questa umanità così lontana da sè stessa. 
Secondo me...si è perso il senso di quello che significa: "crescere".
Eh sì. C'è chi cresce, e c'è chi invecchia. Che poi invecchiare mica è una brutta cosa. In teoria si dovrebbe diventar saggi. Occorrerebbe aver grande stima degli anziani (non dei gerontocrati però).
Ma c'è chi invecchia la propria anima rendendola usurata, sporca, macchiata, lisa, unta, consumata.
Si dice che sarebbe bello nascere vecchi e morire nel momento del proprio concepimento. Ma tutto sommato non è così difficile. Basterebbe giorno dopo giorno ricordarsi di non rendere vecchia e inutilizzabile la nostra anima.